giovedì 11 dicembre 2014

Un anno di libri nuovi


Visto che alla fine dell’anno passato ho avvertito il rischio di star diventando un lettore pigro, di quelli che cercano lo stesso sapore in tutti i nuovi libri che aprono e che si affidano cautamente agli stessi autori, ai consigli di quegli autori, alle case editrici di quegli autori, ho scommesso con me stesso che durante il 2014 avrei dovuto leggere solo scrittori mai letti: anche gente famosa, ma mai neanche una volta sfogliata.
La sfida è stata interessante un po’ per le scoperte fatte, un po’ perché tutti i libri letti hanno dato vita a una storia, alle volte un aneddoto, che si aggiunge al piacere della scoperta che dal leggerlo ho (quasi) sempre conseguito.

LIBRI IN PRESTITO
Da Simona, nonostante me l’avesse sconsigliato, ho preso Firmino di Sam Savage che non mi è piaciuto affatto e che aspetto ancora di restituirle quando rientrerà definitamente da Cleveland. Da Mariagiovanna ho preso Le braci di Sàndor Màrai e Fiona di Mauro Covacich, il primo è uno di quei classici che mi vergognavo un po’ di non aver letto, il secondo un romanzo troppo pretenzioso per i miei gusti. A Mariaelena ho chiesto La schiuma dei giorni di Boris Vian che mi ha sconvolto per la sua estrema modernità della forma e la sua estrema vetustà dei contenuti.
Dalla bellissima Biblioteca di Lorenzo di Mistero Buffo ho preso in prestito Mosca più balena di Valeria Parrella. Anzi, a dire la verità, l’ha preso Roberta quando io ero ancora un lettore pigro, quindi me lo sono ritrovato comodamente vicino al letto.
A Daniele invece ho chiesto un libro da leggere per un lungo viaggio in Portogallo e lui mi ha sapientemente consigliato Città aperta di Teju Cole che io di rimando consiglio a tutti quelli a cui piacciono le trame rarefatte e sfilacciate come i migliori film di Wenders.

LIBRI IN REGALO
A mio padre, come scorrettamente faccio ormai da anni, ho chiesto in prestito un libro che io stesso gli avevo regalato qualche mese prima: Mo Mama di Paolo Nori, che mi ha dato la possibilità di conoscere la sua ricercata scrittura libera. La graphic novel Maus di Art Spiegelman invece mi era stata regalata tra il 2001 e il 2002 da Bianca, ed era passata da una mensola all’altra e da una casa all’altra per più di dieci anni fino al fondamentale consiglio di Josella che me l’ha fatta ripescare e adorare.
La più grande scoperta dell’anno invece è da attribuire al regalo che Mariagiovanna mi ha fatto per il compleanno: La trilogia delle citta di K. di Agota Kristof, che sembra uno di quei libri che mi aspettava da sempre, un libro già mio chissà da quanto tempo.

LIBRI A CASO
Bazzicando per librerie e librai interessanti ho scoperto, comprato e letto il bellissimo Il catalogo dei giocattoli di Sandra Petrignani (acquistato da Vicolo Stretto) e l’ancora in lettura La crociata dei bambini di Florina Ilis (tra l’altro consigliato da di Diana, rumena anche lei - come la Ilis). Poi seguendo per qualche tappa Pianissimo e Filippo Nicosia ho beccato e letto Cosa vuoi fare da grande di Ivan Baio e Angelo Orlando Meloni e ho sentito il prurito di leggere La solitudine di un riporto di Daniele Zito (acquistato poi da Gammazita), libro che in verità avrei dovuto leggere anche solo perché si tratta dello stesso Daniele di Città aperta di Teju Cole: ma tu guarda fin dove può spingersi la pigrizia di un lettore!

LIBRI A CASA
Così come due buoni genitori dovrebbero sempre fare, i miei all’inizio degli anni 2000 hanno avuto la pazienza di investire settimanalmente in quasi tutta la Biblioteca di Repubblica con una bella selezione di classici del novecento. Almeno una volta l’anno ho sempre attinto da quella miniera e nel 2014 i prescelti sono stati Lolita di Vladimir Nabokov e Opinioni di un clown di Heinrich Böll, due classiconi che non ho amato particolarmente ma che assieme a Le braci non potevo aspettare ancora di leggere.
Insieme ai genitori però ho anche una moglie compratrice seriale di libri e così, senza neanche spostarmi da casa ho potuto leggere per la prima volta Federico Rampini con Slow economy e Paul Watzlawick con Istruzioni per rendersi infelici (quest’ultimo scaturito dalla mia completa ignoranza durante una dotta discussione proprio tra Roberta e Mariagiovanna). Sempre a Roberta e alla sua curiosità “da pulci” nella libreria di seconda mano Nijinski di Bruxelles devo anche la scoperta del primitivismo sardo de La leggenda di Redenta Tiria di Salvatore Niffoi.

LIBRI INCONTRATI E CONSIGLIATI
La costituzione spiegata a mia figlia di Giangiulio Ambroisini e L’equivoco del Sud di Carlo Borgomeo me li ha consigliati Gaia per il lavoro che avremmo dovuto affrontare in classe sulla questione della Dignità a partire dal Terzo Articolo della Costituzione. In particolare il secondo mi è piaciuto assai e lo consiglio a chiunque abbia voglia di scoprire un punto di vista inedito sulla presunta “questione meridionale”.
Altro suggerimento in qualche modo istutuzionale è stato quello per La biblioteca di Gould di Bernard Quiriny, recensito su Internazionale e consigliato a tutti gli amanti di Borges, Calvino, Bolaño: ovviamente una fregatura per tutti i lettori pigri come me!
Tutt’altro che fregature sono stati invece Stoner di John Edward William, consigliatomi da Josella e letto tra la Sicilia e la Croazia in un’estate serena variabile; Dune di Frank Herbert (rocambolescamente recuperato dopo lunghe ricerche – perché temporaneamente fuori catalogo - in una bancarella di Piazza della Repubblica a Roma), consigliatomi da un quasi sconosciuto Francesco durante la cena di laurea di Germano, che mi ha riportato alla fantascienza dopo più di dieci anni e mi ha fornito parecchie illuminazioni sul concepimento della saga di Star Wars; e infine Sillabari di Goffredo Parise, adocchiato (per sintonia a Buzzati e Manganelli) sempre a casa di Daniele e da lui fermamente consigliatomi.

LIBRI ABBANDONATI
Ce ne sono stati tre. Le infradito di Buddha di Zap Mangusta, Il campo di nessuno di Daniel Picouly  e Il sogno di mia madre di Alice Munro. Il primo e il terzo sono stati regali (di Valentina, Fabio e Roberta) e mi dispiace non essere riuscito ad arrivare alla fine, ma Mangusta nonostante i temi intriganti è davvero logorroico e mi ha stancato dopo un’ottantina di pagine, la Munro invece ha quel vizio carveriano di far salire al massimo la tenzione di un racconto e poi lasciare il finale aperto, oppure chiudere senza soddisfare tutte le aspettive create. Quello di Picouly è invece uno di quei romanzi fiume ambientati tutti in ventiquattro ore, e libri del genere bisogna trovarsi col giusto animo per accompagnarli fino all’ultima pagina.

Mauro

sabato 12 luglio 2014

Gestione familiare


Stasera a Marsiglia abbiamo cenato in un ristorante di pesce alla buona, tanto alla buona che in vetrina tenevano un acquario funzionante in tutto, con una specie di Titanic con ciminiere bollose sul fondo, dall'aspetto complessivamente decadente e, soprattutto, senza neanche un pesce. Il ristorante era di quelli con due nonne coi peli sotto il mento che servono ai tavoli, una figlia finto-bionda tra la cucina e la sigaretta sulla strada, il nipote grande a tagliare la verdura e lavare i piatti e quello piccolo a gironzolare scocciato per i tavoli disturbando madre, nonne e fratello.
La scena mi ha riportato immediatamente a un ristorante fondato sulle stesse dinamiche vicino la chiesa del Carmo a Lisbona. Non ricordo come si chiamasse davvero, ma l'amica portoghese che ce l'aveva consigliato lo chiamava col soprannome del proprietario "Super Mario", quindi continuo a ricordarlo così. Ci siamo stati almeno due o tre volte e poi ci son tornato negli anni: succedeva sempre dopo pranzo, verso le tre, che se ti attardavi col dolce o a chiaccherare finendo il vino, Super Mario in persona uscisse dalla cucina e facesse sedere il figlio preadolescente al tavolo accanto al tuo aiutandolo nei compiti per casa. L'immagine del cuoco-cameriere-padre davanti al quadernone a quadri mi è sempre sembrata tra il romantico e l'eroico, il commovente e il meridionale.
Di seguito, sempre partendo da stasera a Marsiglia, non ho potuto che pensare all'altro pilastro della ristorazione a gestione familiare che viene in mente a chiunque viva o abbia vissuto abbastanza a lungo attorno alle Aci: l'osteria della Signora Tanina a Santa Maria la Scala. La signora Tanina è il frontman dell'azienda, quella che quasi sempre ci mette la faccia per prima, ma attorno a lei si muovono e lavorano un numero imprecisato di figlie (tutte donne) che sembrano da lei partorite così come una matrioska fa con le sue sorelle/figlie in scala sempre più ridotta, pur mantenendo quasi identica la forma e l'aspetto complessivo. Dalla signora Tanina si mangia il pesce, ma molto più frequentemente le granite col pane. Nonostante la fama indiscussa delle suddette, però, le granite della Signora non sono sempre disponibili, quindi la prima domanda da fare quando la si avvista sulla porta d'ingresso è: "Signora, le ha fatte le granite oggi?". Un giorno, a questa domanda lei mi rispose con un'altra domanda: "Ma ch'è, mi puoi aiutare?". E senza neanche avere il tempo di rispondere mi ritrovai una ventina di metri oltre l'osteria, accanto all'Ape del fruttivendolo con in mano tre borse pesanti di frutta e verdure da riportare dentro il locale. Non ricordo neanche se le granite poi ci fossero o no, ma credo proprio di no.
Stasera a Marsiglia pensavo di averne da raccontare sui ristoranti che contengono una famiglia dentro, ma non sapevo ne avrei avuta ancora una.
Il nipote più piccolo, quello scocciato, finalmente riesce a ottenere quello per cui si lamentava ormai da almeno un quarto d'ora. La madre finto-bionda spegne la sigaretta, accende la televisione 80 pollici, porge il controller al ragazzino e preme ON sulla Playstation. Tutto il ristorante da quel momento in poi assiste col fiato sospeso alla sua corsa con una Porche bianca sulle strade di San Francisco. Dopo due minuti esce dalla cucina il fratello più grande per aiutarlo: ovviamente gli frega il posto di guida.

Mauro


sabato 30 marzo 2013

Perché



La domanda che, dopo anni, ci poniamo ancora è: perché? Questo primo post belga, dopo quello del settembre 2010 che preludeva a tre mesi inglesi, prova ancora a rispondere.

Perché guardare da lontano il proprio paese fa bene a se stessi e, molto probabilmente, al proprio paese.
Perché rimettersi in gioco lontano dalle consuetudini e sentire addosso tutta la scomodità che questo comporta è importante come allenamento, per la vita.
Perché una nuova lingua è un nuovo pezzo di mondo di prima mano a cui poter accedere.
Perché mi piace Tintin, anche se molti dicono sia un po’ fascista e financo razzista.
Perché una volta io, Roberta, Lucrezia e Alfredo eravamo a casa di Chiara, a Santa Tecla, e uno disse: “Cazzo, è morta Amy Winehouse”. E a me salì la tristezza. Poi, oggi pomeriggio, mi è venuta voglia di ascoltarla e, mentre lo faccio, mi rendo conto di essere qui, seduto sul divano di Alfredo e Lucrezia, con accanto Roberta, a venti minuti a piedi da casa di Chiara, a Bruxelles… quindi qualcosa tutta questa storia vorrà pur dire. Ma perché?

Mauro

giovedì 17 marzo 2011

Viva l’Italia?



Non so se è un bene o un male, non riesco a schierarmi. Più che altro mi interrogo, mi contorco tra i pro e i contro, tra la gioia per un evento nazionale davvero trasversale e il solito fastidio per la spettacolarizzazione.
Arriviamo in piazza ad Aci Castello e troviamo decine di tricolori e tricolorini. Padri che le leggono il giornale reggendo una bandiera di sbieco, carrozzine col ciuffo verde bianco e rosso, bambini che sventolano e altri con nunchaku tricolori a minacciare le madri felici dei primi guizzi di violenza cinematografizzata dei loro piccoli.
E poi i balconi. Bandiere come se la nazionale avesse vinto i mondiali fuori tempo, come se nel pomeriggio il santo dovesse passare a benedire tutte le strade. Fiocchi, coccarde e gagliardetti alle inferriate e sulle finestre.
Chissà come sarebbe stato oggi se il governo non avesse deciso che si potesse far vacanza? Chissà se, passeggiando al sole della prima scampagnata del 2011, avrei visto lo stesso numero di sorrisi, di facce grate per un po’ di riposo? Chissà come sarebbe l’Italia con gli italiani contenti, almeno per un giorno, di farne parte con tanto di bandierine e pensieri per Garibaldi, la bandiera e l’unità nazionale.
Ok, mi schiero. Penso che questo 17 Marzo 2011 sia un bene, che abbia più pro che contro, che la trasversalità e il senso comune per la nazione (anche senza Cannavaro con la fascia al braccio) abbiano la meglio sulle troppo ostentate bandierine e i festoni di questi tempi.
W l’Italia e lo Stato e la Repubblica. Qualcuno, prima di noi, ce li ha fatti meritare.

Mauro

giovedì 9 dicembre 2010

Colpa d'Alfredo

Fatto sta che siamo arrivati alla fine dei nostri tre mesi inglesi e forse, se Alfredo l’altro ieri non me lo avesse chiesto a bruciapelo, non avrei scritto nulla a tirare le somme di questo viaggio o, meglio, a introdurre quello che segue.
Nel link qui sotto infatti spero che Alfredo e gli altri a cui interessa possano trovare un po’ me e dei miei pensieri sul viaggio. Buona visione.

  
Miemorie

   
Esiste anche una versione sottotitolata in inglese
   
Mymories (Italian with English subtitles)


Mauro

domenica 28 novembre 2010

C come



Charity shop

In terra inglese vige un’invidiabile usanza: i Charity Shops. Sono negozi di cose di seconda mano, e per cose si intende ogni sorta di oggetto pronto a cambiare casa e vivere una nuova vita: dai soprammobili, ai vestiti, ai libri.
Se ne occupano organizzazioni di varia natura, dall’ospedale dietro l’angolo a Save the Children o Amnesty International. Nella pratica, vai lì e compri a basso prezzo quello che altri hanno donato: meno di dieci sterline per un maglione intatto e 50 centesimi (!) per un libro.
Lunga vita ai Charity Shop.


Children

In terra inglese ci si accorge presto di un fatto singolare in questo moderno occidente post-industriale, post-bellico, post-moderno in cui viviamo: abbondano i bambini.
Quasi sempre almeno in due: il primo nel passeggino biposto e il secondo abbarbicato tra le braccia del giovane - almeno secondo gli italici standard - genitore di turno. Senza contare il gran numero di nascituri già evidenti dietro i vestiti tesi delle loro future mamme.
I nostri (non) approfonditi appunti sociologici ci hanno rivelato almeno tre possibili cause dello strano fenomeno: un sistema scolastico che dopo l’high school permette di accedere direttamente al famigerato “mondo del lavoro”, con un titolo sufficiente anche senza continuare gli studi. Un sistema di benefit statali che noi italiani non riusciamo neanche bene a concepire, e non ultima la tendenza di molte disinibite ragazzine inglese ad ubriacarsi, e poi a far nascere il frutto imprevisto di una sbornia di troppo. A quanto pare c’è una convenienza economica, nell’avere un figlio.



In terra inglese abbiamo riscoperto una parola fino ad ora scovata solo tra le pagine delle riviste o tra i mille link di internet: il couchsurfing.
Trattasi dell’ammirevole pratica di mettere a disposizione il proprio “divano” per una o più notti, a uno o più viaggiatori, e magari dischiudere loro le meraviglie nascoste della propria città. Ottimo metodo per pernottare gratis, conoscere persone, scoprire luoghi insoliti, parlare inglese.
Praticabile ovunque, agli antipodi come a 100 chilometri da casa. O magari proprio a casa, ospitando o trasformandosi in guide turistiche del dietro l’angolo.
Lode al couchsurfing e a chi l’ha inventato.


Coins

Continua il reperimento giornaliero di monete disperse per strada.
In ogni caso, mentre aspettavo il bus con i soldi al sicuro nella mano guantata, mi chiedevo quanto deve essere strano usare del denaro con su impressa la propria faccia. E poi, quando dio smetterà di salvare la regina cosa faranno gli inglesi con tutti questi soldi? Li ritireranno a poco a poco per far spazio al nuovo re?
Una cosa è certa: aspettare al freddo non fa bene alla profondità dei miei pensieri.


Christmas Market

A un mese del ritorno a casa l’invio matto e disperatissimo di candidature per qualsivoglia lavoro-recupera-spese, attività che ha riempito le nostre prime settimane qui, ha dato i suoi frutti.
Il frutto si chiama Christmas Market, o German Market, ed è appunto un mercatino tedesco in terra inglese.
A quanto pare, ogni novembre e per un mese intero un gran numero di crucchi invade le maggiori città britanniche vendendo prodotti (che dovrebbero essere) tipici.
Io mi occupo di uno stand di saponette dagli strani colori, odori e fogge: la globalizzazione ha voluto che un’italiana vendesse saponi Made in UK in un mercato di specialità tedesche.
Ciò significa passare 7 ore al giorno in bilico su uno sgabello piazzato sotto una lampada calorifera, cercando di capire al volo le domande - per fortuna sempre simili! - di inglesi biascicatori.
Ho 50 centimetri quadrati di autonomia al di fuori dei quali il freddo mi attanaglia, ho 5 strati di vestiti addosso e alternativamente i piedi o le mani gelate, ma ho anche tanto tempo per leggere, scrivere e guardare la gente abbandonandomi ad ammirabili considerazioni socio-antropologiche.
In ogni caso, il portafoglio ringrazia.


Roberta

sabato 20 novembre 2010